I documenti della sezione parlano chiaro: la storia del Cai di Barzanò inizia nel 1983. Eppure, si farebbe un torto alla verità pensando che l’esperienza di un sodalizio così vitale sia nata tutto ad un tratto, come dal nulla. Per comprendere ciò che è avvenuto in questi anni bisogna fare un po’ di “archeologia”, scavare nella preistoria della sezione, dove affondano le loro radici quella tradizione e quella bruciante passione per la montagna, che ancora oggi animano il gruppo. Gli anni quelli duri e allo stesso tempo pieni di sogni e speranze dell’immediato dopoguerra: è, infatti, il 1947 la data d’inizio della prima vita del Cai Barzanò. Come in molte parti d’Italia, la pace e serenità facevano rifiorire la voglia di vivere e i giovani Barzanò ritrovavano nelle gite in montagna la semplice e fondamentale gioia dello stare insieme. Il destino volle che quell’esperienza si concludesse nel volgere di poco tempo. La sezione si sciolse nel 1955, ma quel patrimonio di esperienze, amicizia e passione non andò certo perduto: un seme era stato gettato, una scintilla inestinguibile restava accesa sotto ceneri e aspettava solo che si verificassero le condizioni favorevoli per far divampare un nuovo incendio. Il momento arrivò nel 1983.

Da qualche tempo, una decina di amanti della montagna di Barzanò e dintorni, iscritti quasi tutti alla sezione di Besana Brianza, avevano cominciato a far gruppo fra di loro. La stoffa personaggi era (ed è!) quella con son tessuti i brianzoli: gente che parla poco fa tanto e, soprattutto, gente che di solito non spreca parole a cui non seguano dei fatti. Così la buttata lì qualcuno – “sem bun de fa ul Cai a Barzanò?” – scatenò l’immediata reazione a catena. In breve tempo si racimolarono le iscrizioni necessarie per dare vita alla sezione e, il primo giugno del 1983, venne ufficializzata l’affiliazione al Club Alpino italiano.

Il Cai di Barzanò era rinato sulla carta e aveva già trovato nell’infaticabile Sergio Longoni il presidente per la guida del sodalizio. C’era però ancora qualcosa di fondamentale da fare: trovare una casa per questa nuova famiglia. Di nuovo l’etica brianzola del “faccio prima a fare che a dire” ci mise lo zampino. L’amministrazione non aveva quasi finito di mettere nero su bianco l’autorizzazione ad utilizzare i locali semidiroccati delle vecchie scuole della frazione di Villanova, che già i soci del Cai Barzanò si erano messi all’opera: in breve tempo, grazie all’impegno volontario di tutti e al sostegno di amici e sponsor, quello che prima era quasi un rudere si trasformò in una sede comoda e accogliente, un punto d’incontro dove dare forma alla propria passione per la montagna e trasformarla in idee e programmi per future gite. Le basi questa volta erano ben solide e la sezione andò incontro ad uno straordinario sviluppo, tanto che, solo tre anni dopo la fondazione, gli iscritti avevano già toccato quota 360 e nelle gite sociali, da quelle escursionistiche a quelle sciistiche, partire con due o tre di pullman completi era la norma più che l’eccezione. Merito del clima degli anni ’80 e dei primi anni ’90, quando forza di aggregazione dei gruppi e la di stare insieme erano forse più incisive di oggi, ma merito anche degli straordinari “trascinatori” che tanto hanno dato al sodalizio barzanese.

Inutile snocciolare un lungo elenco di nomi ma c’è fra questi una figura di cui non si può tacere, perché il suo contributo alla vita della sezione è stato qualcosa di assolutamente unico e originale. Lo percepisce chiaramente dalla vivissima nostalgia con cui ancora oggi, a 13 anni dalla sua scomparsa sul Pizzo di Prata, chi l’ha conosciuto ricorda Luigi Viganò, “il Biondo”. Era lui “l’ideologo” del gruppo e la sua filosofia del sognare dedicarsi anima e corpo al proprio sogno è diventato un po’ il marchio di fabbrica del Cai Barzanò. Sicuramente è anche sull’onda del suo contagioso entusiasmo che sono nate tante iniziative che hanno segnato la vita della sezione in questi venticinque anni: dai corsi di escursionismo giovanile alla staffetta (una gara che per diversi anni catalizzò l’attenzione di centinaia di appassionati di corsa territorio), dai corsi di sci di fondo a quelli di sci alpino. Anche l’attività dei singoli soci probabilmente ha beneficiato del suo esempio trascinante. Dalla metà degli anni ’80 in avanti in sede non si sente più solo parlare di escursioni sui sentieri e sci in pista: c’è chi si arrampica su roccia, chi fa salite in alta quota, chi aspetta solo il momento di mettere le pelli agli sci e chi sui sentieri ci va di corsa, dedicandosi, con risultati eccellenti, a sky marathon, trail e ultratrail. C’è anche chi si spinge sulle montagne extraeuropee, partecipando a trekking e spedizioni.

Da questo punto di vista, la sezione gode oggi più che mai di una grande vitalità, ma almeno sotto l’aspetto dell’attività sociale, qualcosa è cambiato negli ultimi dieci anni. Col tempo è diventato sempre più difficile se non impossibile riuscire a riempire i pullman delle gite trovare un tempo per la partecipazione e l’organizzazione dei corsi. Chissà, forse è lo stile di vita odierno che ha ridotto in modo così drastico il bisogno e il desiderio di aggregazione. Certo è che quando si trova un sogno quale catalizzare energie, la partecipazione e l’impegno corale tornano a farsi sentire. E’ stata infatti sufficiente l’idea fare qualcosa in ricordo del Biondo perché la sezione riuscisse a far sorgere in poco tempo uno splendido rifugio (inaugurato nel 2001) proprio ai piedi del Pizzo di Prata. Insomma, la passione che 25 anni fa animava i fondatori del Cai Barzanò è del tutto intatta e rappresenta un patrimonio da consegnare, assieme ad un quarto di secolo d’esperienze, alle nuove generazioni, nella certezza che, in occasione del cinquantesimo, ci saranno ancora tante altre storie a tanti altri momenti di vita sociale ricordare e raccontare.